Fenomenologia di Balotelli

Oggi la Gazzetta dello Sport ha inaugurato un nuovo inserto. Si chiama ExtraTime, è dedicato al meglio del calcio internazionale ed uscirà in allegato ogni martedì. L’apertura del primo numero è dedicata ad un’intervista di Luigi Garlando a Mario Balotelli, da settembre a Manchester. Che comincia così, in un locale del centro cittadino:

Abiti in zona, Mario?
Si, a un passo. Un palazzo moderno. Vista splendida. Un giorno mio fratello Giovanni in strada alza la testa e dice alla fidanzata: “che bello, Cami. Guarda, a Manchester fanno i fuochi d’artificio!”. Li sparavo io al nono piano.

Ecco, basterebbe questa prima risposta a spiegare di chi stiamo parlando. Mario Balotelli ha giocato due anni e mezzo nell’Inter e tanto gli è bastato per far parlare di sè. Come molti altri illustri predecessori, Mario è croce e delizia del presidente che se lo coccola e dell’allenatore che lo deve sapere dosare tra panchina e campo. Perchè i suoi piedi sono magici, ma la sua testa non viaggia sui binari delle altre che lo circondano. Come molti altri colleghi, si è trovato con tanti soldi nel portafoglio in poco tempo. Una, due, tre amichette che dicono di avere avuto una storia con lui, tanto per brillare della sua luce. Capigliature bizzarre, abbigliamento appariscente, le goliardate con gli amici (come quando fu sorpreso con una scacciacani in centro a Milano, di notte, a tirare colpi in aria). I compagni di squadra che in allenamento lo colpiscono duro, ma per tenere a bada la sua irruenza. Il primo anno, quello dell’esordio in prima squadra, con Mancini (che ora lo allena in Inghilterra), va tutto bene. Comportamenti bizzarri a parte.

Con l’arrivo di Mourinho la questione cambia. I due hanno troppa personalità per convivere. Mario lancia i primi segnali di insofferenza, ma a modo suo. Si allena svogliatamente e l’allenatore spesso lo lascia in panchina, se non in tribuna. Quando entra, non usa mezzi termini: o gioca come se non gliene fregasse nulla e sbuffa, oppure prende la palla e spacca la rete. La stagione successiva, quella dell’ormai celebre ‘triplete’, Mario è convinto di poter dare un contributo maggiore. E invece no, non vede ilo campo con la regolarità che si augurava. Così si fa immortalare dalle telecamere di ‘Striscia’ mentre indossa una maglia del Milan, la squadra per cui tifa fin da piccolo. La cosa irrita i supporter nerazzuri, che cominciano ad essere stufi di un giocatore che si mostra troppo incostante in una stagione si sta dimostrando molto impegnativa. La pentola scoppia nella semifinale di Champions League (la vecchia Coppa dei campioni) contro il Barcellona a S.Siro. L’Inter vince, ma Mario non è protagonista. Entra a partita in corso, sbuffa come suo solito, gioca come non dovrebbe. Il pubblico lo fischia feroce e lui risponde urlando ‘siete tutti dei figli di puttana’ (grazie Mario, sono interista anche io….). Lo strappo è irricucibile, a fine stagione Mario lascia l’Inter. I tifosi neo campioni d’Europa temono possa andare al Milan, invece raggiunge Mancini a Manchester.

Qui comincia a deliziare i tabloid inglesi. Come quando viene fermato dalla polizia mentre viaggia sulla sua auto con 5000 sterline in contanti. Alla domanda ‘che ci fa con tutti quei soldi, Mr. Balotelli?’, lui risponde serafico ‘Io posso. Sono ricco’. E via di questo passo.
Sui di lui, in Italia, si è detto di tutto. Pazzo, maleducato, borioso. Molti tifosi avversari, in particolare quelli della Juve, lo hanno bersagliato di cori razzisti.

Mario Balotelli è un ragazzo di 20 anni che non le manda a dire. Ha vinto praticamente tutto e si è ritrovato ricco in poco tempo. In lui contrastano la spensieratezza dei vent’anni e tutto quello che gli accade intorno. Le starlette, i paparazzi, i tifosi che lo massacrano. Spesso, i calciomantici (stavolta nel senso solo di romantici) accostano il calcio alla letteratura. Pirandello considerava smascheramento ciò che gli altri vedevano come pazzia. I comportamenti bizzarri sono il suo smascheramento. Con personaggi così, il calcio altamente mediatico degli ultimi anni ci campa alla grande. Ma anche quando il pallone non era così legato alle telecamere, gente come Zigoni e Best era considerata pazza ma segretamente ammirata. Se, con tutto il rispetto, i giocatori fossero tutti come Legrottaglie, i genitori sarebbero più contenti di iscrivere i propri figli alle scuole calcio. Ma il calcio in generale non sarebbe la stessa cosa. Se Balotelli conoscesse Palazzeschi, non farebbe altro che dire: ‘E lasciatemi divertire’.

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