Polonia e Ucraina, sono Casini

Da una parte lavoro, donne manager e Lewandowski, dall’altra cani uccisi, donne nude e Shevchenko. Troppo semplificativo dire che queste sono le differenze tra Polonia e Ucraina ma diciamo che, se si limita alle uniche cose che interessano agli uomini (carriera, donne e pallone) potremmo in effetti fermarci qui. Ma la realtà vista da vicino, come dicono spesso Alfano e Mario Sechi, è molto diversa (sarà per il loro ampio raggio di visione). Il legame tra i due paesi organizzatori di Euro 2012 è complesso e variegato, manco fosse un cono all’amarena.

La prima differenza che salta all’occhio è ovviamente quella economica. Da una parte la crescita più importante dell’Unione Europea, dall’altra una discesa che assomiglia più a un crollo. Poi c’è il piano dei diritti, con l’Ucraina in forte imbarazzo per il caso Timoshenko. La conseguenza più diretta è anche il ruolo ricoperto da Polonia e Ucraina nei rapporti mondiali e in particolari europei. Polacchi sempre più inclusi e ascoltati, ucraini emarginati e additati da buona parte dell’opinione pubblica. Con effetti che si fanno risentire anche su altri aspetti, non ultimo il turismo, segnalato in grande ascesa nelle città polacche. E non solo per la manifestazione calcistica. Insomma, dall’esterno si ha la sensazione di un paese sempre più dentro il motore dell’Unione Europeo (metti un Polonia nel motore si potrebbe dire), e di un altro che spaventa un po’ e assomiglia a una dittatura simil exsovietica. Manco fosse la Bielorussia e si assistesse a una riedizione in formato esteuropeo de “Il buono, il brutto e il cattivo”. Dove il brutto (e soprattutto il cattivo) è ovviamente Lukashenko.

In realtà gli ucraini stanno provando, a piccoli passi, di adeguarsi ai canoni occidentali. Ecco, speriamo che i passi non siano talmente piccoli da somigliare a quelli di Brunetta. Gli ucraini si trovano, anche geograficamente, in mezzo all’afflato europeista e il richiamo della Russia di Putin. Relazioni pericolose che all’Ue non piacciono molto e che Kiev cerca di far dimenticare. L’approccio all’Europeo pare diverso: la Polonia vuole usare l’evento come un trampolino di lancio, l’Ucraina come una foglia di fico.

Donald Tusk (ricordate il bomber di razza che come hobby fa anche il premier? E non vi venga in mente Silvio. D’accordo, anche lui è un bomber, ma in un altro settore, diciamo) sta provando a ricucire il rapporto con lo zar, ehm con il presidente, sì il presidente Putin. Vladimiro ha invitato Donald (a proposito, pare che a scuola il buon Donald fosse soprannominato Paperino) alle commemorazioni per il settantesimo anniversario del massacro di Katyn. Un po’ come se Agnelli avesse invitato Guido Rossi alle celebrazioni del 23. scudetto della Juventus (ah, è il 28esimo? Scusate ero sintonizzato sul fuso boemo). Oppure come se il figlio del capo della Lega Nord avesse preso una laurea in Albania.

Ucraina, Polonia e la vecchia zia russa sono però divise da un recente episodio che per molti è il simbolo del risveglio del nazionalismo ucraino. Stiamo parlando della decorazione postuma che Yuschenko ha conferito a Stefano Bandera, che a capo dell’Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini-esercito Insurrezionale Ucraino (eccetera eccetera) fece guerra a polacchi e sovietici dagli anni Trenta agli anni Cinquanta. Per gli ucraini è una specie di Braveheart senza gonnellino, per polacchi e russi un terrorista senza barba e turbante. Da una parte e dall’altra sono fioccate le richieste riconoscere danni, uccisioni, soprusi e un fuorigioco non fischiato a Lato in Polonia-Urss nelle semifinali delle Olimpiadi del 1972 (per la cronaca, vinse la Polonia che si aggiudicò poi la medaglia d’oro). Non proprio il modo più adatto per avvicinarsi a un evento organizzato in forma congiunta, parrebbe.

Ma sbaglia chi crede che tra Polonia e Ucraina ci siano solo differenze. I punti di contatto sono più d’uno: dal punto di vista religioso per esempio. Ma anche, si può dire, logistico. Per un ucraino ottenere un visto polacco è­ veloce ed economico.­ Prova ne sia il fatto che parecchi dei numerosi ucraini che vivono in Italia hanno un­ visto polacco. Per esempio, si dice che nel 1999 Shevchenko sia arrivato a Milanello con il passaporto di Zibi Boniek. E quando Boniek si è ritrovato senza il suo passaporto lo abbia chiesto la tessera della biblioteca a Pruzzo (se non altro per l’acconciatura dei baffi). Diciamo che l’Ucraina, trovandosi in mezzo tra Polonia e Russia, possa sentire quel che di claustrofobico che la spinge alla ricerca di una terza via. E come è risaputo, le terze vie portano sempre Casini.

Lorenzo Lamperti

Twitter: @LorenzoLamperti